Bono
Il paese di Bono sorge sulle pendici del Monte Rasu nella catena del Marghine.
Fa parte della sub regione del Goceano, che corrisponde a quella che in epoca medievale era la Curatoria del Goceano. Regione ricca di foreste e armenti, ricordiamo infatti che nel territorio sorge la foresta di “Sos Nibberos” dichiarata monumento naturale. Percorrendo il centro abitato presso Piazza Bialada si trova un murales che rievoca la storica battaglia dei moti antifeudali con annessa la statua dell’Alternos. La parrocchiale di Bono è la chiesa di San Michele Arcangelo, costruita intorno alla fine del XIII secolo, la quale presenta una facciata trecentesca in trachite rosa. Troviamo poi la chiesa di San Raimondo Nonnato, anticamente intitolata alla Vergine Assunta che sorge sul colle dove in occasione della festa di San Raimondo, viene rievocata la battaglia del 1796.
La famiglia Angioy
Don Pietro Nicolò Angioy, proveniente da Orani sposò a Bono Margherita Arras, esponente di una famiglia benestante. La casata, pur avendo ascendenze nobiliari, si distinse nel Goceano per grande operosità: non già una “piccola nobiltà rurale”, come spesso la storiografia la definiva, quanto una famiglia di proprietari liberi, dinamici e industriosi che realizzò col lavoro il proprio benessere.
L’infanzia di Giovanni Maria Angioy
Nel capoluogo del Goceano Giovanni Maria Angioy e il fratello Nicolò trascorsero l’infanzia, tristemente segnata dalla prematura scomparsa della madre. I loro anni giovanili furono contraddistinti dal vigile sguardo di educatore di don Taddeo Arras, lo zio materno, che favorì la loro istruzione impartendo i primi rudimenti della scrittura, della lettura e dell’aritmetica. Anche il padre a un certo punto della sua vita lasciò i due fanciulli, preferendo la vita sacerdotale
I due ragazzi, avviati agli studi soprattutto dall’imprinting dello zio Taddeo, realizzarono le loro aspirazioni: Nicolò divenne sacerdote e vicario della diocesi di Nuoro e Giovanni Maria, dopo gli studi giuridici e in seguito ad anni di pratica legale, intraprese l’insegnamento universitario e la carriera di Magistrato. Divenne giudice del più importante tribunale del Regno di Sardegna: la Reale Udienza.
Bono e il Goceano difendono l’Isola
Quando nel 1793 la marineria francese si apprestava a occupare Cagliari, capoluogo del Regno di Sardegna, l’Angioy fu tra i difensori della città. Dal Goceano fece arrivare quasi 300 cavalieri in armi: un modesto contingente che diede un aiuto all’esercito regio. La guerra contro i francesi venne attuata quasi esclusivamente dalle forze militari pagate e organizzate dallo Stamento militare. La più importante conseguenza della “guerra patriottica” fu la riunione, nella primavera del 1793 dei tre Stamenti del Parlamento sardo con la predisposizione delle celebri cinque domande. Si chiedeva direttamente al Re il riconoscimento della dignità dei sardi e della Sardegna, salvata da una pericolosa invasione.
L’assedio di Bono
Ai moti rivoluzionari che caratterizzarono il triennio 1794-1796 segui una dura, accesa e implacabile repressione attuata del governo regio. Il movimento antifeudale, ancora pulsante, subì un duro colpo. A Bono, villa iconica del movimento poiché patria di Angioy, ben 900 uomini armati, comandati da Efisio Pintor Sirigu misero in ginocchio la popolazione, arrivando persino a spogliare le chiese degli arredi sacri.
Sa corcoriga
Scrisse Girolamo Sotgiu, professore di storia moderna nella facoltà di scienze politiche dell'Università di Cagliari, che gli abitanti di Bono costrinsero gli assalitori «a una precipitosa ritirata nella quale molti furono gli uccisi e i feriti». Ancora oggi a Bono nel giorno del 31 agosto, si avviene la rievocazione degli eventi storici. Il carro viene ornato con fiori e canne, giunge sopra un colle, raggiunto dai cavalieri del paese che si lanciano in una corsa sfrenata tra due ali di folla. Arrivato l'ultimo cavaliere una grossa zucca (detta “sa corcoriga”) viene fatta rotolare lungo la strada che porta al colle in segno di scherno e di sconfitta delle truppe. La serata si chiude con canti e balli di gruppi provenienti da varie parti dell’Isola.
Nascita e fine dei sogni angioyani
Ciò che sorprende delle lodi che l’abate Berlendis fece ai due fratelli Angioy, giovani bonesi studenti universitari a Sassari, è che i due, che eccellevano negli studi, non provenivano da un contesto urbano, come Cagliari e Sassari dove la circolazione della cultura era normale e nemmeno da una delle città regie, dove è riportata la presenza di letterati e di biblioteche, ma da un villaggio rurale delle zone interne.
Le radici della famiglia di Giovanni Maria Angioy affondano, per parte di padre a Orani e, per parte di madre negli Arras che, come molte famiglie del dinamico ceto pastorale aveva ricevuto le patenti di nobiltà nei primi del XVIII secolo. Queste ramificazioni in più centri della Sardegna centro-settentrionale, fino a lambire le due maggiori città, fu uno degli elementi non secondari che consentirono ad Angioy di avere un largo seguito per le sue iniziative in diversi villaggi.
Bono diede uno sforzo notevole nell’incrementare le file dell’esercito angioyano, così come altri villaggi del Goceano come Anela, Benetutti, Bottidda e Bultei. Ma, come spesso capita nei grandi eventi storici, questa compattezza si sgretolò al declinare delle fortune dell’Alternos, Dopo i concitati giorni che vanno dal 18 al 21 luglio 1796, quando i bonesi resistettero eroicamente al saccheggio delle truppe di Pintoreddu e successivamente contrattaccarono alle truppe viceregie, anche nella patria di Angioy si consumò uno strappo tra i suoi fedeli, quando una fazione, dominata da Giacomo Fara e Bonifacio Cocco, passò al campo realista, provocando gravi momenti di tensione che culminò con l’omicidio di don Andrea Mulas Rubatta, tenace angioyano, il 9 febbraio 1798. Bono cadde in una spirale di violenza con aggressioni, tentativi di omicidio e furti di bestiame. La parola fine a questo conflitto lo diede l’insediamento della corte dei Savoia a Cagliari nel 1799. L’avvedutezza del giudice Valentino si espresse nel decretare il rientro dall’esilio di Salvatore Frassu e Felice Mulas Rubatta, amici tra i più fedeli di Angioy, e nel porre termine alle prepotenze di don Giacomo Fara, che, dopo trascorsi angioyani, era diventato il punto di riferimento dei nemici dell’Alternos.
Bibliografia
L. CARTA, Il Settecento e gli anni di Angioy (1700-1799), Sassari, La Nuova Sardegna, 2011, pp. 147; 213
F. CASULA, Carlo Felice e i tiranni sabaudi, Dolianova, Grafica del Parteolla, 2019, pp 46-48
A. MORI, Sardegna, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1966, p 527
M. PINNA (a cura di) Bono e il suo territorio, Sassari, Edes, 2017, pp.119-126
Bibliografia web
https://www.sardegnaforeste.it
https://archiviostorico.unica.it/persone/angioy-giovanni-maria
https://www.comune.bono.ss.it
Credits
M.L. Melas, A. Nasone, S.A. Tedde