Macomer
Le vicende del triennio rivoluzionario sardo attraversarono l’allora borgo di Macomer in alcuni episodi di estrema importanza. In virtù della sua posizione strategica, posto al confine tra le due province del Regno di Sardegna e punto di passaggio obbligato nel percorso che congiungeva la capitale Cagliari al capoluogo del Capo di Sopra Sassari, vide scorrere nelle proprie strade, alla fine dell’anno 1795, un gruppo di armati capitanati da Francesco Cilocco e Gioacchino Mundula, diretti a Sassari con l’obiettivo di abbattere il governo della nobiltà reazionaria e secessionista del Logudoro. Poco più tardi, in senso inverso, i macomeresi videro passare in catene i principali responsabili del tentativo reazionario di secessione: l’arcivescovo Della Torre e il governatore Santuccio.
L’avvenimento che però vide protagonista Macomer accadde il 6 giugno del 1796 quando alle schiere dell’Angioy in marcia su Cagliari fu sbarrato il passo dal consiglio comunitativo del centro del Marghine, stretto – nei suoi uomini più in vista – alla lealtà viceregia. La discussione sull’appoggio o meno al tentativo angioyano risaliva a qualche mese prima e portò il notabilato locale a dividersi in due fazioni. L’Angioy, proclamata la legge marziale, rispose con un attacco armato, che fece diversi morti e il saccheggio di diverse case, prima di dirigersi per Santu Lussurgiu.
Il territorio e la storia
Il territorio di Macomer è segnato dalle appendici occidentali del Marghine che collimano con il Montiferru, dividendo l’altipiano di Abbasanta dalla Campeda, a nord. Il punto dove si sviluppa la cittadina rappresenta la parte più agevole per il passaggio tra la parte settentrionale e meridionale della Sardegna.
L’origine di Macomer è da mettere in relazione col centro di Macopsisa (Macòmisa) di origine punica, citato nella Geografia di Tolomeo (II sec. d. C.), di provata importanza strategica anche in epoca romana poiché sulla strada che da Carales conduceva a Turris Lybisonis. Nel medioevo la villa era inglobata nella Curatorìa del Marghine e seguì le alterne vicende di passaggi di proprietà dopo la caduta del Giudicato di Torres. Autentica roccaforte nella diatriba tra gli Arborea ed i Doria (prima) e successivamente contro i catalani, venne occupata nel 1409 dal Visconte di Narbona, intento ad impedire l’avanzata delle truppe aragonesi. Nella primavera del 1478 il territorio fu teatro della disfatta di Leonardo Alagon, marchese di Oristano, contro le truppe regie: la battaglia fu l’ultimo episodio della guerra feudale tra Alagon e Carros. Accolta nell’immaginario collettivo come l’ultima guerra del medioevo per la libertà dell’Isola. Macomer divenne feudo appartenente a varie famiglie nobili di provenienza iberica: Centells, Borgia, Pimentel, Tellez-Giron. Tra Otto e Novecento la cittadina ebbe una progressiva rinascita in vari settori produttivi legati alla pastorizia e alle manifatture, attività favorite dalla vicinanza con importanti snodi ferroviari e stradali. È oggi il capoluogo dell’Unione dei comuni del Marghine.
La famiglia Pinna
Nell’ultimo quarto del XVIII secolo il numero degli abitanti della villa era quasi triplicato rispetto agli inizi del secolo, in parte grazie a numerose famiglie provenienti da Bortigali e Bolotana che si trasferirono nel capoluogo dell’incontrada dando vita a grosse aziende rurali; inoltre prosperava la classe dei printzipales, ricchi allevatori e proprietari terrieri.
Durante i moti antifeudali furono proprio questi ad opporsi con decisione all’avanzata dei ribelli. Da una di queste famiglie, i Pinna, provennero due figure emblematiche della rivolta: Domenico e Salvatore. Il primo dopo la laurea in leggi divenne giudice della Reale Govenazione: amico di Antonio Fois (“assessore civile”) assieme al quale perorerà la causa di Gioacchino Mundula, uno dei protagonisti delle lotte antibaronali. Anche un altro fratello minore, Giuseppe, si unì alla marcia con l’Angioy.
Un altro fratello, Salvatore, dopo aver rinunciato agli studi superiori e preso in mano le redini dell’azienda agraria di famiglia, ebbe modo di distinguersi osteggiando le truppe angioyane che avanzavano verso Macomer, comandando una fazione avversa ai movimenti rivoluzionari; anche un altro fratello, Pietro Francesco, sacerdote, si oppose all’entrata dei ribelli nella cittadina del Marghine.
La topografia del saccheggio
Le truppe dell’Angioy, dopo aver percorso le regioni di Filigosa, de s’Adde e de sos Codinarzos, entrarono a Macomer dall’accesso principale dopo aver percorso la salita che dalla valle conduceva al paese. Ma in seguito a varie dinamiche alcuni seguaci dell’Alternos si diedero al saccheggio di varie abitazioni appartenenti a printzipales e ad esponenti della nascente borghesia, avversa ai venti di rivoluzione. Grazie alla documentazione custodita nell’Archivio di Stato di Cagliari e studiata da Giovanni Cucca, possiamo ricostruire la topografia del saccheggio: furono devastate ad esempio le abitazioni dei Fara e dei Pes, situate all’ingresso del villaggio nel rione detto Sa Porta, le dimore dei Tola-Sini e dei Pinna-Pardu, poste lungo la strada principale dell’abitato, la Carrel, corrispondente all’attuale via Eleonora d’Arborea.
Il bottino fruttò oltre duemila scudi, grano, provviste alimentari, tessuti, armi da fuoco, capi d’abbigliamento, numerosi utensili ed oggetti (tra i quali un macina caffè!).
Centro storico e chiesa Santa Croce
Nucleo del centro storico è il complesso detto sa presone ‘etza che gravita nel quartiere di S. Croce che tende a svilupparsi attorno ai resti di un castello che i regoli turritani fecero edificare a difesa del territorio: la struttura divenne col tempo carcere e successivamente venne demolita.
Il quartiere di S. Croce, di impianto medievale, si presenta come un dedalo di vie sulle quali prospettano palazzi dai ricchi portali e dalle decorate architravi di gusto gotico-aragonese, opera di scalpellini locali.
La chiesa di S. Croce, di impianto medievale, venne modificata nel XVII secolo: il suo aspetto attuale, fortemente modificato, è da ricondurre a recenti restauri che ne hanno in parte snaturato l’essenza. Al suo interno sono presenti arredi e suppellettili delle locali confraternite e preziosi simulacri lignei raffiguranti le statue della Passione.
Casa Murenu
Di umile estrazione sociale il poeta Melchiorre Murenu (nato nel 1803) ebbe una vita piuttosto travagliata.
Venne colpito dal vaiolo e divenuto cieco in tenera età, riuscì tuttavia ad acculturarsi grazie alla sua spiccata memoria, frequentando le messe ed ascoltando le omelie di predicatori che giungevano a Macomer.
Come poeta ebbe modo di percorrere molte strade dell’Isola, guadagnandosi da vivere grazie alle sue doti di improvvisatore, con le sue liriche spesso sagaci e pungenti. Morì in circostanze misteriose nel 1854.
Chiesa di San Pantaleo
La chiesa parrocchiale è dedicata a un santo greco: San Pantaleone da Nicomedia. Non si hanno notizie sulla prima edificazione dell’edificio. La struttura presenta elementi in stile tardogotico ed elementi rinascimentali, l’aspetto attuale è frutto di una serie di interventi cinquecenteschi. Il campanile fu eretto nel XVI secolo come documenta un atto esistente nell’archivio parrocchiale, redatto in sardo, stipulato nel 1573 tra il curato e alcuni maggiorenti della villa e un mastro scalpellino di Bolotana.
La facciata datata al 1607 è poi stata modificata nel 1714. La cappella dedicata a San Giovanni Battista era destinata alla sepoltura della nobile famiglia Delitala, in cui si trova la tomba di Agnese Delitala che reca lo stemma della famiglia. Un aneddoto racconta di un miracolo operato dal santo, avvenuto in data 30 maggio 1627: secondo una dichiarazione del reverendo Salvatore Scarpa un’effige di San Pantaleo avrebbe sudato per più di un’ora; la cronaca è attestata da atti ufficiali custoditi nell’archivio della parrocchia.
Sito archeologico di Tamuli
L’area archeologica di Tamuli comprende un nuraghe, un villaggio con capanne rettangolari e circolari, tre tombe dei giganti, un allineamento di betili e una fonte nuragica. È situato sul declivio del monte di Sant’Antonio (congiunzione tra Marghine e Montiferru). Il nuraghe inesplorato mostra dall’esterno il profilo di un nuraghe a tholos bilobato ma ha molte caratteristiche strutturali del protonuraghe, appoggia su uno sperone basaltico, che ne costituisce il supporto base. Questo domina una vasta parte del territorio: la subregione del Marghine, la media Valle del Tirso e l’altopiano di Abbasanta, il Montiferru, la Campeda e la Planargia.Il villaggio nuragico si trova addossato al nuraghe, alcune capanne del complesso hanno pianta circolare a doppio paramento murario.
Le altre hanno pianta rettangolare con estremità absidata e copertura piattabandata ricoperte da un cumulo di pietrisco. Alcune di queste capanne rettangolari furono sottoposte a indagine di scavo e si arrivò alla conclusione che queste capanne “allungate” furono costruite dai pastori in epoca recente. La necropoli è composta da tre tombe dei giganti a struttura isodoma, di maggiori dimensioni è senz’altro quella conosciuta come “tomba dei betili” che ha una lunghezza massima di m 22,40 e ha alla sua sinistra i sei famosi betili. I betili chiamati localmente “perdas marmuradas” sono in basalto e hanno forma conica e terminano superiormente ad angolo acuto, tre di questi sono provvisti di due bozze a forma di mammella femminile mentre gli altri tre sono completamente lisci.
Bibliografia
F. Cherchi Paba Macomer, Cagliari, 1975
G. Cucca, Macomer Documenti, cronache e storia di una comunità. Settecento sabaudo, Monastir, 2000
F. Floris (a cura di) La grande enciclopedia della Sardegna, vol. 5, Sassari, 2007
G. Kalby Pitzolu Macopsisa, Macomer, 1990
I. Paschina Monumenti archeologici del Marghine: studio sul foglio IGM I NO Macomer,2000
P. G. Vacca I moti angioyni in Marghine, Planargia e Montiferru (prima parte) in «Dialogo», 1999
Credits
A. Nasone, G. Ruggiu, S. A. Tedde.