Ittiri
La storia della Baronia
Terre fertili e generose, quelle dei villaggi di Ittiri e di Uri furono acquistate ed unite in feudo alla fine del Cinquecento da don Bernardo Simò, originario di Maiorca e reggente la Real Cancelleria del Regno di Sardegna.
La Baronia passò in seguito ai Carrillo, già signori di Bonorva e Torralba. A partire del 1630 con la morte senza eredi diretti di don Ignazio Carrillo Simò inizia una lunga diatriba, che vedrà contrapposti da una parte i Ledà (Ledda), conti di Bonorva e signori di Costaval e gli ispanici De Miranda, già marchesi di Valdecanzana e Torralba. Pur non essendo ancora cessata la lite agli inizi del XVIII secolo i Ledà erano entrati in possesso del feudo, seppur nel 1757 le rendite dei due villaggi furono poste sotto sequestro. Ma l’astuzia e la frode di don Gerolamo Vaca Ledà, signore nominale della contrada, alterarono vistosamente tutti gravami feudali, apportandone di nuovi. La mala amministrazione dei feudi determinò l’innescarsi di una crisi profonda nelle dinamiche produttive.
Presso gli Archivi regi si accumularono le lettere di protesta di ittiresi ed uresi contro il peso di tasse e balzelli, a partire almeno dal 1760; la comunità ittirese si appellò direttamente al Ministro per gli affari di Sardegna Gianbattista Lorenzo Bogino, alfine di chiedere il riscatto dello stesso feudo.
Nel 1783 terre e villaggi passarono al primogenito Antonio Manca Ledà, ben conosciuto dalle due comunità per la sua crudeltà, e del quale la memoria popolare tramanda l’uso di buttare il pane ai porci piuttosto che distribuirlo ai vassalli del feudo. Il fuoco della vendetta verso i baroni covava segretamente tra gli abitanti delle due ville del Coros.
Nel Coros i prodromi della rivoluzione
L’importante contributo di Ittiri e Uri alla causa angioyana ha i suoi motivi fondamentali nella disputa che impegnò le due comunità fin dalla metà del XVIII secolo con la famiglia Ledà, titolare dopo aspra controversia del feudo che riuniva i suddetti villaggi. Gravati da un giogo fiscale che i signori del feudo inasprirono compiendo scandalosi abusi, le due comunità ingaggiarono una difficile contesa legale con i Ledà, nei decenni che precedettero l’epoca della Sarda Rivoluzione.
Fu in questa fase che emerse don Vincenzo Serra, una delle più interessanti figure della seconda metà del Settecento sardo, capace col proprio carisma, la propria cultura e la propria abilità, di tenere in scacco le prepotenze del feudatario.
Attorno a Casa Serra si riunì una classe dirigente che seppe coagulare e animare le forze popolari degli ittiresi e degli uresi con l’obiettivo di emanciparli dalla soggezione feudale.
Per dare un risvolto politico-giuridico a questa insubordinazione, il 17 marzo del 1796, nel patio antistante la parrocchiale di San Pietro a Ittiri, i sindaci, i consigli comunitativi e i capifamiglia di Ittiri e Uri, firmarono lo “strumento di unione” con cui giurarono di «non riconoscere più alcun feudatario».
Per dare un risvolto politico-giuridico a questa insubordinazione, il 17 marzo del 1796, nel patio antistante la parrocchiale di San Pietro a Ittiri, i sindaci, i consigli comunitativi e i capifamiglia di Ittiri e Uri, firmarono lo “strumento di unione” con cui giurarono di «non riconoscere più alcun feudatario».
La redenzione dal feudalesimo: lo “strumento d’unione”
Tra i documenti che maggiormente rappresentano l’eco di rivolta si ricorda il cosiddetto “Atto di redenzione” delle due comunità di Ittiri ed Uri, rogato dal notaio Cosimo Serra il 17 marzo 1796. Il documento, scritto in italiano, ribadisce l’eversione legale ed il desiderio di riscattare la propria terra da parte degli abitanti del villaggio. L’atto è sottoscritto dai religiosi, dai “cavalieri e principali” dei villaggi di Ittiri ed Uri. Ma subito dopo la disfatta e la fuga dell’Angioy fu posta in atto una cruenta repressione. L’atto politicamente più significativo attuato dai commissari viceregi fu la revoca forzata di questi atti notarili, giurati dalle comunità logudoresi: le carte vennero strappate dei registri degli archivi governativi e sostituite da ritrattazioni, sotto la minaccia di gravi e pesanti ritorsioni. Tuttavia il vento della rivoluzione non si placò, continuando a contrapporsi in armi ai fattori baronali o ricorrendo alla denunzia legale contro i sempre numerosi abusi.
Don Vincenzo Serra Delogu
Don Vincenzo Serra Delogu (1731-1803) fu senza equivoci una delle figure più emblematiche della lotta antifeudale. Sensibile al malessere del popolo della sua Baronia, il 24 agosto 1795, in seguito agli ennesimi soprusi del Ledà, guidò un folto gruppo di popolani ad assaltare i ricchi e forniti depositi di frumento del barone: il grano venne distribuito equamente tra la folla accorsa, attanagliata dalla fame e dalla miseria opprimente. La sera stessa arrivarono gli abitanti di Uri: una turba di oltre settecento persone si accalcava nella piazza antistante la parrocchia d’Ittiri: uomini a cavallo e a piedi, armati di schioppi e fucili si muovevano a suon di tamburo verso il contado con l’intento di distruggere i muri divisori dei predi del barone e calpestarne le colture. Le comunità di Ittiri ed Uri emanarono addirittura un pregone nel quale si obbligava l’ufficiale di giustizia (eletto dal barone) a lasciare entro 8 giorni il feudo. Avvenne una vera e propria cacciata dei sodali della famiglia Ledà: a ricoprire le cariche amministrative e giudiziarie vennero eletti onesti rappresentanti del popolo.
Attivo portavoce del malcontento della comunità di Ittiri intuì le enormi potenzialità della vicinanza dell’Angioy: il paladino della Sarda Rivoluzione era in quel periodo giunto a Sassari ed avrebbe corroborato la causa antibaronale. Le fonti documentali raccontano di come gli ittiresi si prodigarono attivamente per sovvenzionare i rivoltosi angioyani instauratisi nella città; le carte raccontano della costante presenza di Ittiresi al seguito dell’Alternos nella sua marcia verso Cagliari, fedeli sostenitori, a costo della loro stessa vita, della causa della libertà.
Bibliografia
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G. Vulpes, I signori del feudo d’Ittiri e Uri, Sassari, 1999
G. Vulpes, Don Vincenzo Serra e la rivolta antifeudale ittirese, Sassari, 2008
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Credits: A. Nasone, G. Ruggiu, S. A. Tedde